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martedì 23 settembre 2014

L'indipendenza e la povera gente


Il Tirreno ospita oggi un mio commento sul dopo referendum in Scozia. Ho potuto approfondire, qui a Edinburgo, ma soprattutto a Glasgow, cosa significano parole come indipendenza e autogoverno per le persone comuni. Gli autonomisti hanno perso il referendum, ma forse hanno vinto il futuro, andando incontro a quelle che in Toscana chiameremmo, con La Pira, le attese della povera gente. Nella pagina aperta di oggi, la 17. Buon acquisto, buona lettura.






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A distanza di più di un anno, posso pubblicare qui il testo integrale dell'articolo (NdA, 2 ottobre 2015)



Per il Tirreno
Da Edimburgo, lunedì 22 settembre 2014

L'indipendenza e la povera gente


di Mauro Vaiani*

Agli Scozzesi, nel referendum dello scorso giovedì 18 settembre, è stato chiesto se volevano che il loro paese diventasse indipendente. Should Scotland be an indipendent country? Una frase semplice, sei parole, nella migliore tradizione dell'asciuttezza britannica. La domanda potrà apparire vaga e forse lo era, all'inizio. Che vuol dire, in definitiva, essere indipendenti nel mondo di oggi? Non siamo forse tutti interdipendenti?
In Scozia, però, non si è giocato sulle parole. Il dibattito è durato anni, è stato approfondito, ha coinvolto l'intera popolazione residente (inclusi gli immigrati e i sedicenni), ha prodotto un movimento civico territoriale imponente.
Alla fine la piattaforma degli indipendentisti era abbastanza chiara e, in stile anglosassone, sufficientemente pragmatica: un totale autogoverno, mantenendo però con l'Inghilterra legami simili a quelli che hanno ancora oggi esistono con il Canada o la Nuova Zelanda; una piena responsabilità sulla propria economia, ma restando nell'Unione Europea; il potere sovrano di rifiutare il nucleare e le guerre volute da Londra, ma rimanendo nella comunità di sicurezza della NATO; l'opportunità di investire tutte le risorse disponibili nell'economia locale, in modo da aumentare posti di lavoro e opportunità imprenditoriali sul proprio territorio.
Gli Scozzesi, una popolazione molto istruita, dotata di un fortissimo senso civico, e non più povera come in passato, si sono quindi preparati al voto, avvicinandosi a un ideale modello di democrazia deliberativa – caro a tanti studiosi, anche toscani, come il nostro Antonio Floridia.
Le emozioni ci sono state, certo, ma in Scozia non si sono confrontati nazionalismi arretrati e naif. Non si è votato su “sangue e suolo”, ma su problemi molto concreti di distribuzione dei poteri e delle relative responsabilità, riguardanti non solo il presente, ma anche le future generazioni.
La proposta indipendentista ha conquistato una coalizione vastissima e assolutamente trasversale, ma soprattutto ha risvegliato quelle che in Toscana chiameremmo, con La Pira, le attese della povera gente: i lavoratori precari, le famiglie a basso reddito, gli immigrati, i pensionati poveri, le persone portatrici di diversità e disabilità, i piccoli imprenditori e agricoltori, ma anche i giovani che dopo aver finito l'università sono emarginati e spinti verso l'emigrazione.
Non a caso il movimento indipendentista ha raggiunto ben il 45% dei voti a livello nazionale, ma ha addirittura stravinto nelle due città più operaie della Scozia: Glasgow e Dundee.
Le elites di Londra, spaventate da questa richiesta di massiccia ridistribuzione del potere e delle risorse, hanno prima minacciato questo movimento popolare, promettendo di ostacolarlo in ogni modo, in particolare in materie sensibili per la vita quotidiana della gente, come la libertà di circolazione e il regime valutario. Alla fine, poiché né le minacce, né la propaganda monocorde di gran parte dei media sembravano funzionare, hanno infine fatto una mossa forse disperata ma allo stesso tempo abile: hanno ceduto.
Hanno promesso agli Scozzesi quello che Gordon Brown, ex primo ministro britannico, lui stesso scozzese e ancora molto stimato nel paese, ha definito “niente di meno di un moderno Home Rule. In pratica alla Scozia verrà dato tutto ciò che era nel programma indipendentista, meno due cose: il diritto di restare in pace, se l'Inghilterra va in guerra, e il diritto di stampare una valuta locale.
Con questa promessa, non solo con le minacce, è stata messa al sicuro la vittoria del no, nel referendum sull'indipendenza.
Ora inizia un processo politico faticoso e complesso. C'è molto scetticismo sul fatto che, in concreto, si possano davvero realizzare i cambiamenti promessi: uffici da chiudere a Londra e da aprire a Edimburgo; royalties del petrolio del Mare del Nord da ridistribuire; leggi da riscrivere; simboli del potere da cambiare. Le resistenze londinesi sono ovviamente fortissime, ma c'è anche speranza.
Una cosa ci appare certa: questo movimento civico e civile per il pieno autogoverno, anti-burocratico e anti-elitario, per il riscatto sociale, per fermare l'austerità e tornare a distribuire risorse alla povera gente, per la protezione dei beni comuni, per la valorizzazione dei servizi pubblici, è qui per restare, in Scozia e, crediamo, ben oltre.

* attivista, blogger, studio, visitor at the University of Edinburgh - School of Social and Political Science


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